16 ottobre 1943. La deportazione

Ricorre oggi il settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei romani dal ghetto. Il momento nel quale cade questo anniversario è di vergogna, segnato dal tentativo di trasformare in “cerimonia” – e, attraverso di essa, quasi in una legittimazione post mortem – il pur necessario e pietoso rito di inumazione dovuto (ma privatamente e in questo caso, direi, segretamente) finanche a un colpevole di crimini contro l’umanità.
Non voglio, tuttavia, parlare di questo. Ci ritornerò, forse, con la lentezza che rivendico nelle righe di “Benvenuto” di questa pagina web.
Lo scopo di questo mio post è quello di dedicare alla memoria dei più di mille ebrei romani deportati e uccisi nei lager (ne tornarono vivi soltanto quindici, dei 1081 prelevati dal ghetto) una poesia che ho scritto dopo avere ascoltato, il 13 maggio del 2007 a Torino, la presentazione di un bel libro scritto da Alessandra Chiappano come vademecum per quegli insegnanti – coraggiosi, ma talvolta emotivamente disarmati – che portano i loro allievi in visita di meditazione ai campi di concentramento. Il libro, I lager nazisti. Guida storico didattica (Giuntina, 2007), fu presentato al Salone del Libro da un gruppo di valenti storici. Tra questi, Bruno Maida aprì il proprio intervento con la frase: «I libri sono come telescopi». Ebbene, quella frase suscitò in me, lettore quasi compulsivo, un’emozione straordinaria: l’idea dei libri come telescopi che servono a farci vedere attraverso il tempo e, in particolare dei libri capaci di trattenere la memoria di quella grande tragedia del Novecento che fu l’Olocausto, mi entrò dentro fino a fare quasi esplodere nella mia testa i versi di questa poesia, Hai ragione, Bruno, che i libri. Versi che hanno poi ricevuto un notevole consenso e che sono stati tra i più richiesti nelle molte letture che ho fatto della raccolta nella quale sono stati pubblicati, La mente irretita.

Michele Tortorici, Hai ragione, Bruno, che i libri (da La mente irretita, Manni, 2008)


A Bruno, ad Alessandra
e agli ebrei romani deportati settanta anni fa

Hai ragione, Bruno, che i libri
sono come telescopi e quello che ci fanno
vedere vicino è la nostra
storia che scapperebbe via così lontano
così presto e il passato sarebbe passato
come in un volo e non potremmo scorgere
orme prima di noi. Telescopi: resteremo
nel nostro rifugio di vecchi nani saliti
su spalle di giganti a guardare
la terra di cui non sappiamo
se ci sorregga più o se non sia
soltanto una forza
senza nessuna materia a tenerci
soffermati in questo angolo dove
fortuitamente nell’universo si scioglie
la vita. Telescopi: ci siamo issati su queste
spalle pietrificate per guardare
più indietro e più avanti, abbiamo voluto
essere signori – quassù – del pensiero
e della nostra sapienza, ma anche
qui ci sono arrivati
addosso tutti i sentori che la terra impudica-
mente si lascia sfuggire e siamo impregnati
del fumo dolciastro dei forni – di quei
forni – e nessuno può perdonare
oramai nessun altro. Telescopi: prima
di guardare ci sarà chiesto – credo –
di non fuggire per l’orrore, di restare quassù,
di non scendere per poi dovere scrutare
la terra dalla terra e passo
dopo passo scoprire la nostra
improvvisa cecità; prima di guardare saremo
– credo – confortati, saremo tenuti
per mano, accompagnati a un altare alto,
ancora più alto di queste spalle che sono
i nostri piedistalli, per fare
sacrificio di ciò che fino a ieri avevamo
pensato come il male; prima di guardare
i nostri saperi saranno consumati e noi
saremo più vecchi e più nuovi. Hai ragione,
Bruno, che i libri
sono come telescopi e guardarci
dentro è passare la vita ogni giorno
con una sapienza
nuova e sopra i giganti che ci sostengono
essere un poco più alti anche noi.