Ancora una traduzione da Frank O’Hara

Ho presentato qualche tempo fa la traduzione di una poesia di Frank O’ Hara, A Step Away from Them, appartenente alla raccolta Lunch Poems. Nella stessa raccolta si trova una delle poesie più belle di questo poeta e, forse, una delle più belle di tutta la produzione poetica americana del Novecento. È la poesia The Day Lady Died (qui il testo originale), dedicata al 17 luglio del 1959, giorno della morte di Lady Day. Con questo nome veniva chiamata la grande cantante blues Billie Holiday (1915-1959: qui a fianco nella foto), amatissima dagli intellettuali newyorkesi di quegli anni e, in particolare, dal gruppo di poeti e scrittori noto come la “Scuola di New York”.

Come la poesia che ho già tradotto, anche questa ha una eccezionale “leggerezza” sia nel seguire lo scorrere del tempo sia nell’inserire in questo scorrere, come due sorelle indivisibili, la vita e la morte.
Manhattan è lo straordinario ambiente nel quale tutto questo avviene: le sue strade, le sue librerie, le sue rivendite di alcolici, i suoi tabaccai. E, infine, i suoi locali: spesso, allora come oggi, apparentemente piccoli bar. Ma, se entri, senti subito che la musica di un pianista o di una piccola band è di alto livello e magari riconosci un volto o una voce nota che ti aspetteresti di trovare solo in rinomati teatri di Broadway. La Bowery, la zona di Manhattan che si estende a fianco di Bowery street, è piena di questi locali e Frank O’ Hara ne era uno dei più assidui frequentatori.

Frank O’Hara, The Day Lady Died
Traduzione di Michele Tortorici, È morta lady Day[1]


Sono le dodici e venti a New York un venerdì
tre giorni dopo il giorno della Bastiglia, sicuro
è il Cinquantanove e vado in cerca di un lustrascarpe
perché parto alle quattro e diciannove, a Easthampton
arriverò alle sette e quindici e dopo subito a cena
e non so se qualcuno mi farà da mangiare

cammino su per la strada dove l’afa comincia a farsi sentire
e prendo un hamburger e un frappè e compro
quell’odioso del New World Writing, così vedo che fanno
in questi giorni i poeti del Ghana
                         vado in banca
e miss Stillwagon (l’ho saputo anch’io che di nome fa Linda)
per una volta nella vita non si mette a guardare il mio saldo
e da Golden Griffin prendo un piccolo Verlaine
per Patsy [2], illustrazioni di Bonnard, ma non mi
dispiacerebbe Esiodo, trad. di Richmond Lattimore o
la nuova commedia di Brendan Behan [3] o Le balcon o Les Nègres
di Genet, ma non li prendo, rimango con Verlaine
finché vado a dormire, praticamente, con irresolutezza

e per Mike faccio due passi al negozio di liquori
di Park Lane e chiedo una bottiglia di Strega
poi me ne torno per dove ero venuto fino alla Sesta Avenue
e al tabaccaio dello Ziegfield Theater e
come niente fosse chiedo una stecca di Gauloises e una stecca
di Picayunes, e una copia del New York Post dove c’è il viso di lei
e da quel momento sono pieno di sudore e penso che
me ne stavo appoggiato alla porta del cesso, al 5 spot [4],
mentre lei sussurrava una canzone a Mal Waldron [5] accosto
alla tastiera e tutti, me compreso, smettevamo di respirare.


 


[1] Il gioco di parole del titolo originale è intraducibile
[2] Patsy Southgate (1928-1998), scrittrice e traduttrice, molto vicina al gruppo di poeti della “Scuola di New York”
[3] Brendan Behan (1923-1964), poeta, romanziere e scrittore teatrale irlandese, attivista repubblicano, molto rappresentato a Broadway proprio in quel periodo
[4] Mitico bar cabaret al numero 5 di Cooper Square, sul lato sud di Bowery street. Dal 1956 vi si esibirono i maggiori artisti del jazz e del blues
[5] Mal Waldron (1925-1902), pianista newyorkese, accompagnò regolarmente Billie Holiday dal 1957 fino alla morte della cantante