Come tutti sanno, per la tragedia di Romeo e Giulietta (1594-1595), William Shakespeare si è ispirato alla novella di Luigi Da Porto (1485-1529) Historia novellamente ritrovata dei due nobili amanti, con la loro pietosa morte intervenuta già nella città di Verona nel tempo del signor Bartolomeo della Scala.
In questa novella, scritta intorno al 1524, un’aria fosca regna sin dalle prime righe. Essa comincia infatti con la descrizione della «crudelissima nimistà [inimicizia]» che regnava tra le due famiglie dei Capelletti e dei Monticoli (poi sempre chiamati Montecchi). Nella tragedia di Shakespeare è tutto diverso. Dopo il Prologo che dà notizia dei tristi eventi che seguiranno, l’azione scenica vera e propria comincia con un dialogo tra due servitori attraverso il quale solo indirettamente veniamo informati dei contrasti tra Capuleti e Montecchi. Non si tratta affatto di un dialogo dal tono cupo e angosciato come l’argomento sembrerebbe richiedere.
Tutt’altro. Quello con il quale Shakespeare dà avvio a una delle più dolorose tragedie che egli abbia scritto è un dialogo comico, infarcito di battutacce, doppi sensi (che hanno da sempre messo in difficoltà i traduttori), volgarità: una buffonata che certamente, nel pubblico dell’epoca, in grado di capire al volo battute che oggi mettono in difficoltà persino gli anglofoni, doveva suscitare un’ilarità generalizzata. Per capire meglio e per ricordare questo dialogo a chi da un po’ di tempo non avesse letto o non avesse visto a teatro lo trascrivo qui sotto. L’originale si può leggere qui, in una pagina del bellissimo sito che contiene tutte le opere del drammaturgo inglese accuratamente commentate. La traduzione è mia.
William Shakespeare, Romeo e Giulietta, Atto I, Scena I
Traduzione di Michele Tortorici
Sansone – Ah, Gregorio, puoi star certo che a dire zozzerie non ci frega nessuno.
Gregorio – No, tant’è vero che inzozzare è il nostro mestiere.
Sansone – E se ci fanno zozzate, allora tiro fuori questa (indica la spada).
Gregorio – Fin che vivi, il naso zozzo te lo pulisci con le mani degli altri.
Sansone – Sì, ma se mi fanno incazzare, scatto io veloce con le mie mani.
Gregorio – Però non sei così veloce a farti provocare.
Sansone – Un cane della casa dei Montecchi, quello mi fa scattare.
Gregorio – Già, se ti provocano, scatti, ma chi ha coraggio sta fermo. Tra scattare e scappare la differenza è poca.
Sansone – Un cane di quella casa mi fa scattare a star fermo: uomo o donna dei Montecchi, se ne incontro uno, dalla parte del muro non mi sposto.
Gregorio – Oh, come si vede che sei delicato! Dalla parte del muro passa sempre il più delicato.
Sansone – Vero. Per questo le donne, che sono il massimo della delicatezza, vanno sempre spinte contro il muro. E per questo io caccio dal muro i servi dei Montecchi e ci ripasso le serve.
Gregorio – Qua i padroni se la vedono coi padroni e i servi coi servi.
Sansone – Per me è lo stesso. Mi comporterò comunque da prepotente. Combatterò con i loro uomini e sarò crudele con le loro donne: fino a levargli le teste.
Gregorio – Le teste? alle donne?
Sansone – Le teste alle donne. Ma certo: gli levo la veste. Non è questo che volevi sentirmi dire?
Gregorio – Sono loro che devono sentirlo per bene quando lo prendono.
Sansone – Oh, finché sono capace di stare in piedi, glielo faccio sentire. Lo sanno che sono un bel pezzo di carne.
Gregorio – Davvero? Una carpa? Ma no: se fossi un pesce tu saresti un baccalà. Dai, se hai un’arma, tirala fuori: arrivano due di casa Montecchi.
Sansone – Ho già sguainato la spada. Attacca tu che io ti vengo dietro.
Gregorio – Come? Ti giri indietro e scappi?
Sansone – Non aver paura per me.
Gregorio – Orca madosca, ho paura di te.
Sansone – Restiamo dalla parte della legge: lascia che comincino loro.
Gregorio – Quando gli passo davanti gli do un’occhiataccia e facciano quello che gli piace.
Sansone – Facciano quello di cui sono capaci, piuttosto. Mi mordo il pollice: è un modo di provocarli. Vediamo come la prendono.
Shakespeare, un genio nell’analisi dell’animo umano e delle azioni umane, sapeva benissimo che, sia negli accadimenti più banali sia in quelli di maggiore importanza, può capitare che una tragedia cominci con una pagliacciata.