Cop46: ci sarà mai?


Il sole è precipitato in un giorno come tanti. Eravamo
al solito occupati nelle nostre
attività quotidiane e non ci fregava niente di tutto il resto: poteva succedere
qualunque cosa e neanche
ce ne accorgevamo. […]


Con questi versi comincia la prima poesia del mio nuovo libro, Fine e principio (Anicia, Roma, 2015) «quattro poemetti – ha scritto Giorgio Bárberi Squarotti – che reinventano miti e immagini». A proposito: devo ringraziare qui il grande critico per la «ammirazione profonda» che ha dichiarato di aver provato alla lettura del libro.
Per usare le sue parole, la poesia della quale ho citato i primi versi “reinventa” il mito di Fetonte, il figlio di Apollo che, ottenuto dal padre il permesso di guidare il carro del Sole, ne causa la caduta sulla terra e, per effetto di essa, determina l’inaridimento di intere regioni.
Non sono un politico. Né scrivo versi “politici” (tipo il Misogallo dell’Alfieri, per intenderci). Tuttavia, scritta qualche anno fa, questa poesia ha una incredibile attinenza con la più stretta attualità politica, un fatto raro, forse unico, per quanto mi riguarda. È in corso, infatti, in questi giorni a Parigi la Cop21.
Sapete che cos’è? Non è una parata di capi di stato che, con la scusa del clima, parlano di terrorismo, come si è potuto capire dalle scarne notizie che ne hanno dato i media all’apertura, il 30 novembre scorso.

Una riunione della Cop21 a Parigi

Faccio un po’ di storia. La Cop21 è la ventunesima riunione della Conference of Parties che, da quando fu convocata per la prima volta nel 1995 a Berlino, ha il compito di rivedere annualmente la “Rio Convention”, il primo accordo sul clima raggiunto – come dice il nome – a Rio de Janeiro nel giugno del 1992. La Rio Declaration, frutto di quella convention, affidava agli stati nazionali, senza nessun vincolo né verifica, una serie di compiti relativi alla difesa dell’ambiente. Ci sono volute tre “Cop” per arrivare al famoso Kyoto Protocol del 1997. Ce ne sono volute altre otto per arrivare al Montréal Action Plan, del 2005, il quale non era altro se non un piano di attuazione del Kyoto Protocol. Ancora altre quattro “Cop” sono state necessarie per tentare – senza riuscirci – di superare, a Copenaghen nel 2009, il Kyoto Protocol, che nel frattempo si era rivelato del tutto insufficiente. Infine, dopo altre sei “Cop”, che sono state con tutta evidenza perfettamente inutili, in quella attuale, la Cop21, abbiamo sentito dire dai capi di stato presenti che questa è «the last chance to stop ‘Global Warming’ before it’s too late» [«l’ultima opportunità di fermare il “riscaldamento globale” prima che sia troppo tardi»].

Nessuno dei partecipanti alla Cop21, tuttavia, ha spiegato bene che cosa possa significare questo “troppo tardi”.
Ma qui è bene aggiungere un piccolo corollario: coloro che che cercano di spiegare in che cosa consista il “troppo tardi”, giornalisti o scienziati, vengono in genere accusati di essere “catastrofisti”. Da chi vengono accusati di questa nefandezza? Da altri giornalisti o scienziati i quali chiedono le “prove” che il riscaldamento globale sia realmente un effetto causato dalle attività umane e che quindi possa essere a sua volta combattuto da un profondo cambiamento di queste attività.
Un esempio? Eccolo. La Società italiana di Fisica – per la verità affiancata, anche se i media non lo hanno riportato, dalla Unione delle Accademie di Agricoltura (!) e dalla Historical Oceanography Society (!) – si è rifiutata di firmare la Dichiarazione scientifica sui cambiamenti climatici redatta a conclusione del Science Symposium on Climate, una riunione di tutte le comunità scientifiche mondiali interessate al tema, che si è svolta a Roma il 19 e 20 novembre scorsi. Forse troppe riunioni e pochi fatti sul clima di questa nostra povera Terra! Ma vado avanti. In questa Dichiarazione, il capitolo introduttivo sui principali esiti delle ricerche della comunità scientifica afferma:


Human influence on the climate system is unequivocal and it is extremely likely that human activities are the dominant cause of warming since the mid-20th Century: continued warming increases the risks of severe, pervasive, and irreversible impacts on the climate system.
[L’influenza umana sul sistema climatico è inequivocabile ed è estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo. Il continuo riscaldamento del pianeta aumenta i rischi di impatti gravi, pervasivi e irreversibili sul sistema climatico]


Ebbene, sulla parola «unequivocal» la Società italiana di Fisica ha posto, per voce della sua presidente, professoressa Luisa Cifarelli, una specie di veto: in un blog (qui) è stata riportata la posizione della professoressa sintetizzata nella lettera a un suo collega: «La Sif è un’associazione di fisici abituati a considerare leggi fisiche regolate da equazioni più o meno complesse, e risultati espressi con il dovuto livello di confidenza o di probabilità o di verosimiglianza. Questo, del resto, è il metodo scientifico». La professoressa Cifarelli, inutile sottolinearlo, ha ragione. Sul metodo scientifico, intendo.
Il metodo scientifico, per dimostrare il rapporto di causa ed effetto tra attività umane e riscaldamento globale, avrebbe bisogno di un certo numero di Terre senza presenza umana e di circa duecento anni: una volta sviluppata su una di queste Terre, per circa duecento anni, una attività antropica uguale a quella che si è storicamente realizzata nell’età industriale sull’unica Terra che abbiamo, soltanto allora, se nelle altre Terre prese a confronto non si fosse registrato nessun tipo di cambiamento climatico, si potrebbe scientificamente affermare che il rapporto di causa ed effetto tra attività umane e riscaldamento è “dimostrato”.
Questo vorrebbe dire che tale rapporto sarebbe “vero”? Certamente no: tutti sappiamo che le “verità” scientifiche hanno una certa durata storica. Dopo un certo periodo qualcuno “dimostra” che quanto era stato “dimostrato” in precedenza su un certo problema è superato da una nuova scoperta. Per essere assolutamente certi (assolutamente?) che la “dimostrazione” scientifica di cui stiamo parlando non sarà superata da una nuova scoperta, dovremmo aspettare centinaia, forse migliaia di anni. Gli scienziati che hanno firmato la Dichiarazione del Science Symposium on Climate, lo sapevano certamente meglio di me e, difatti, hanno evitato la parola «true» [vero] o altre simili e hanno usato una parola come «unequivocal» [“inequivocabile”, «detto di di cosa – afferma il Vocabolario Treccani – su cui non è possibile equivocare, che non dà luogo a equivoci, anche intenzionali»: quindi “molto chiaro”, “evidente a tutti”, ma non necessariamente “vero”], o un’espressione come «extremely likely» [“estremamente probabile”]. Questo non è bastato. La professoressa Cifarelli voleva la “dimostrazione” come richiesto dalle «leggi fisiche» che sono, in effetti, «regolate da equazioni più o meno complesse». E in attesa di questa “dimostrazione”? Ecco i catastrofisti!

Non credo di potermi annoverare tra i catastrofisti, e tuttavia, se quasi tutti gli scienziati del mondo, senza aspettare la “dimostrazione”, dichiarano come «estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo» e aggiungono che questo riscaldamento «aumenta i rischi di impatti gravi, pervasivi e irreversibili sul sistema climatico», sono portato a dar loro fiducia senza aspettare non meno di due secoli per averne la “dimostrazione”. 
Infatti, due sono i casi.
O questi scienziati hanno torto: e allora qualunque azione umana non ridurrà il riscaldamento globale e la terra cesserà di essere un pianeta abitato tra cento o duecento o trecento anni (o forse anche molto prima, dato che certi effetti prodotti dal riscaldamento globale si automoltiplicano).
Oppure questi scienziati hanno ragione: e allora è il caso di cominciare a darsi da fare subito. Da questo punto di vista, le Conferences of Parties mi sembrano uno strumento, finora, assolutamente inefficace. Riunioni di flagellanti in vena di enunciare molti buoni propositi (certo: oltretutto siamo sotto Natale!) e pronti a non rispettarne neanche uno appena gli altri flagellanti abbiano voltato le spalle. Almeno, nel medioevo, i flagellanti avevano più dignità e si flagellavano anche in privato, quando nessun altro li vedeva.
Non sono un politico. Non chiedetemi soluzioni. Direi, come suggeriscono alcuni economisti, di cominciare dai territori, cioè da pezzetti anche molto piccoli di questa unica Terra che abbiamo. I cittadini, se consapevoli, possono spingere le loro amministrazioni a “decarbonizzare” il territorio sul quale essi vivono, anche utilizzando tecnologie non poi così costose. Questi cittadini possono inoltre darsi come scadenza (deadline, “linea della morte” si dice in inglese e forse in questo caso è proprio la parola) un termine un po’ più vicino di quello del 2050 del quale si occupano le varie Cop: per esempio il 2030. La somma di tante decisioni di tanti cittadini in tanti territori potrebbe essere forse più efficace degli accordi dei governi, o potrebbe aiutare ad attuare questi accordi: insomma, potrebbe aiutare i flagellanti a essere coerenti. Il fatto che la bozza di accordo sulla quale discutono oggi a Parigi conti quarantotto pagine mi spinge a pensare che che gli stessi firmatari non pensino di rispettarla in tutto e per tutto: scrivereste un documento di cinquanta pagine se doveste dare istruzioni antincendio agli inquilini di un condominio? Naturalmente, perché i cittadini possano prendere decisioni, sarebbe necessario che fossero, come ho scritto sopra, consapevoli: cioè che sapessero. I media e la potenza finanziaria di chi ama i combustibili fossili sembrano alleati nel far sì che i cittadini non sappiano. Beh, i venticinque lettori di questo mio blog ora sanno qualcosa più di prima.


Il sole è precipitato in un giorno come tanti. Eravamo
al solito occupati nelle nostre
attività quotidiane e non ci fregava niente di tutto il resto: poteva succedere
qualunque cosa e neanche
ce ne accorgevamo. […]


Quel giorno io, comunque, non ci sarò più: penso alla nipotina che ho e agli altri nipotini che arriveranno. Se quel giorno sfortunatamente dovesse giungere, mi piace comunque pensare che i venticinque lettori di questo mio blog, i loro figli, i loro nipoti non saranno tra quelli ai quali non fregava «niente di tutto il resto: poteva succedere / qualunque cosa». A proposito: nel 2050, quando i miei e i vostri figli avranno all’incirca settant’anni e i miei e i vostri nipoti ne avranno all’incirca quaranta, ci sarà mai una Cop46?