Ieri sera è scomparso a Toronto Eginhart Ehlers, vero patriarca delle nostre famiglie, quella di mia moglie Roberta e la mia.
Eginhart era la persona più anziana tra tutti i familiari della generazione precedente alla nostra. Ed è stato, soprattutto, colui che, al tempo stesso con forte autorevolezza e con tenera devozione, ha tenuto costantemente nelle sue mani i fili che hanno consentito a tutti i numerosi componenti di questa famiglia di sentirsi legati tra loro. È stato merito suo se cugini e affini di grado molto lontano, sparsi in varie parti del mondo e – se non sbaglio – in tutti i continenti, si sentono parte di un tutto, si mandano gli auguri via facebook o in qualsiasi altro modo, sanno della nascita di uno sconosciuto o di una sconosciuta bisnipote e, insomma, non soltanto comunicano tra loro, ma lo fanno con l’affetto di parenti anziché con il superficiale interesse di conoscenti.
La famiglia di Eginhart è uno straordinario insieme di persone di tutti i colori e di tutte le culture possibili: colori e culture che lui, il nostro amato patriarca, ha tenuto nel suo abbraccio per tutti gli ultimi anni della sua vita così fecondi di affetto e di relazioni. L’ultima riunione di questo bellissimo insieme di persone alla quale io abbia partecipato è stata quella per le nozze d’oro di Eginhart e di Irene, il 9 giugno del 2007, a Toronto (la foto è di quel giorno).
A questa occasione si riferisce una poesia, Ritratto di famiglia, che ho pubblicato nel mio libro più recente, Viaggio all’osteria della terra, con la dedica “Alla famiglia Ehlers, del cui ritratto anche Roberta e io facciamo parte”. Il giorno prima della ricorrenza, sotto una fitta ma calda pioggia estiva, siamo stati condotti tutti in uno studio fotografico dove ci hanno scattato le foto di circostanza così indispensabili in una festa che si svolga negli Stati Uniti o in Canada. E la bella atmosfera di quel giorno, che ci teneva lontani – fisicamente e spiritualmente – dalla lunga notte che l’Italia già allora stava attraversando, voglio ora ricordare con la pubblicazione qui di questa poesia: per Eginhart e per tutti noi che lo avremo sempre nel cuore.
Michele Tortorici, Ritratto di famiglia (da Viaggio all’osteria della terra, Manni, 2012)
Ritratto di famiglia dal fotografo
l’otto di giugno del duemila e sette. Studio Anka
– Bloor Street, Toronto, Ontario, Canada, America del Nord.
Fuori, la pioggia rigava − ricordate? − la vetrina con nastri
argentati quietamente
deposti, uno a fianco dell’altro, come per una festa di bambini; dentro,
la luce debole dei fari, i teli chiari, le pareti
opache avevano creato un giorno eterno, un giorno
strampalato, di una impossibile stagione senza picchi
di sole e senza ombre, se non pallide, quasi trasparenti.
Quel giorno − ricordate? – contraffatto
da un abile artificio era per noi
tuttavia confidente, era per noi come se fossimo d’accordo
già da prima con lui, come se fossimo d’accordo
che ci sarebbe, con quella sua volutamente
debole luce, entrato nell’anima e ci avrebbe
sciolto dalla premura, dalla sollecitudine.
Quel giorno è rimasto così giorno per sempre
anche quando, come doveva
venire, è venuta
la notte e si è distesa
prima nel cielo e poi sui nostri occhi. Ma era
giorno nell’anima, eravamo
senza premura, senza sollecitudine.
Ritratto di famiglia dal fotografo
l’otto di giugno del duemila e sette. Era così lontana
per quel giorno
dall’anima la notte. Studio Anka
– Bloor Street, Toronto, Ontario, Canada, America del Nord.