Come promesso, continuo con la pubblicazione su questo blog di versi che ho scritto a proposito di città che ho via via incontrato nella mia vita.
Tra queste, Bologna mi è particolarmente cara: sia perché i momenti di lavoro che vi ho trascorso sono stati particolarmente belli e – come forse non si dice più – soddisfacenti; sia perché vi ho presentato spesso i miei versi (spesso aiutato da straordinari compagni di lettura) e ogni volta ho avvertito una intensa partecipazione emotiva del pubblico.
A questo si aggiunge che a Bologna si trovano amiche e amici carissimi, di quelli che vedi raramente e che, ogni volta, è come se li avessi lasciati il giorno prima.
Tutto questo non basta? E va bene: a Bologna ho mangiato alcuni dei piatti più buoni della mia vita, in particolare, oltre a quelli serviti in tanti ristoranti e trattorie, quelli cucinati dalla mamma di Laura, una delle amiche del gruppo che ho appena detto.
Infine, perché non dirlo? Bologna mi è cara per la sua bellezza: qualche anno fa, quando i suoi portici sono stati dichiarati patrimonio mondiale dell’Unesco ho pubblicato su queste pagine la poesia intitolata, appunto, Sotto i portici, che avevo scritto parecchio tempo prima (senza aspettare l’Unesco): la trovate qui.
Per tutto questo, la pubblicazione qui di questi miei versi, mentre Bologna si riprende dopo l’alluvione che l’ha invasa, va considerata come una carezza a una persona alla quale si vuol bene.
Michele Tortorici, La piazza rosa, da: La mente irretita (Manni, 2008)
La piazza rosa
Piazza San Petronio a Bologna
Nella piazza rosa attraversata
dal suono di una piccola band con il suo jazz
d’annata che si spande
e suscita ogni tanto brevi applausi
filtrano pochi raggi che la fanno
infinita e le pietre grezze lentamente
si accendono di universi che non vedi.
Angeli affaticati vestono forse forme
d’uomini e non sai
riconoscere il divino e l’umano che il selciato
umido trattiene disegnando
orme d’ansia, impronte
di un comune vagare senza meta
un po’ per gioco, un poco
per cercare ombre di senso mentre imbrunisce
il rosa e si fa buio
e la notte incomincia e sai che deve
durare ancora, fare
vivere nuovi angeli e insieme vecchi
demoni fino alla fine che non giunge
aspettata mai e si improvvisa nuovo giorno.
Sono dunque sensi umani
– mani, braccia, sudori
sonno, stanchezza, desiderio –
tracce di quel divino che la piazza
rosa accoglie e dimentica e trascorre
tra suoni e colori nel momento che le pietre
grezze imbeve e riconosce
già sentite tormentate eccitazioni. Sono
dunque sensi umani – miei sensi, sensi di altri,
sguardi, passi – confini vivi
misure delle cose. Sono, siamo
un universo che ci fa
vivere tutti i giorni come uomini.
Inutile aggiungere che le città delle quali voglio parlarvi con i miei versi sono molte. Aspettatevi altre “fermate”.