Fermate di città: Via San Domenico

A Torino ho lavorato per poco più di due anni, tra il 2002 e il 2004. Allora vivevo a Velletri (come ancora oggi), ma a convincermi fu l’offerta di un incarico “importante” da una persona che stimavo moltissimo (come ancora oggi): Luigi Catalano. E così non trovai niente di strano, seppure non più giovanissimo (ma, per questo, con due figli già pienamente autonomi), a mettermi a fare il pendolare: un pendolare un po’ atipico, soprattutto allora, quando il viaggio da Roma a Torino durava circa sette ore di treno. In realtà era più spesso mia moglie Roberta a venire a trovarmi e a godere anche lei di certe belle atmosfere che solo chi vive a Torino conosce.

Torino – Un tratto di via San Domenico

Per un vero colpo di fortuna, appena arrivato per prendere servizio, seppi che si liberava, a costi davvero ridotti, un piccolo appartamento in via San Domenico, a due passi dal mio ufficio. La via si trovava in un quartiere al tempo stesso popolare (c’erano ancora vecchie case di ringhiera che vi si affacciavano) e di richiamo per chi amava la buona tavola, quella delle osterie e quella dei ristoranti di lusso, non senza una notevole varietà etnica: a due passi dal mio appartamento si trovavano due kebab di diversa origine, i cui odori sovrastavano tutti gli altri, un ristorante provenzale e uno, niente meno, siberiano. Porta Palazzo, con la varietà del suo mercato, è a due passi da via San Domenico e, dalla parte opposta, c’è Piazza Palazzo di Città con il suo mercato contadino della domenica del quale ricordo ancora i profumi di erbe, di formaggi e di vini.
Arrivavo in ufficio in cinque minuti più quelli necessari per una calma e rilassata colazione. Già il primo giorno avevo imparato che a Torino, per non essere guardati male nei caffè, quando si ordina quello che a Roma si chiama indefettibilmente il “cornetto” (qualunque forma abbia), bisogna dire “brioche”. C’è voluto qualche tempo perché mi accorgessi che in fondo alla lunghissima via si vedevano le cime delle montagne. E c’è voluto qualche mese, allo scoppio della guerra in Iraq, perché mi accorgessi che molti dei miei vicini di casa la pensavano come me, visto che esponevano sui loro balconi le bandiere arcobaleno.

Insomma, un bel periodo della mia vita, tanto più che il lavoro, anche per il contributo di un gruppo di collaboratori eccezionali, era interessante, coinvolgente e, oltre che stancarmi, mi divertiva: l’ho confermato, anche di recente, proprio a Luigi Catalano. Questi sono i dati biografici che accompagnano la poesia che trascrivo qui sotto. Ma non posso trascurare, data la sua autorevolezza, un commento letterario che a questo testo si riferisce. Quando l’editore mandò il mio manoscritto al critico e storico della letteratura Giorgio Bárberi Squarotti, questi rispose – non all’editore, ma a me – con note di elogio per tutto il libro; ma lui, torinese, si espresse con parole straordinarie proprio a proposito di questa poesia: «[…] mai – scrisse – una via di Torino ha avuto tanto vanto come la sua San Domenico».

Michele Tortorici, Via San Domenico, da: La mente irretita (Manni, 2008)


Via San Domenico

L’ho amata come una donna quella via
con una intimità calda, di letto
dove al mattino i baci
respinge e attira il sonno. Ho amato
i suoi balconi ricoperti
solo di arcobaleni, le continue
voci che la notte regala una giovane
indistinta folla, gli odori arabi, il tardo
buio macchiato di giallo e il disegno,
laggiù, delle montagne.

È stato un anno in cui continuamente
ho salutato il tempo
del lavoro come un amico ritrovato
ho sentito l’amore che lontano è come
se chiamasse più forte – e proprio allora
avverti che non potresti farne a meno –
e così di giorno in giorno quotidiane
impronte del vivere hanno preso
per buona la mia gelosamente
serbata incompiutezza
la mia riconosciuta finità.

È stato un anno in cui col mio presente
ho giocato alla morra a occhi chiusi
e per un poco ho vinto e ho sorriso
con me stesso di questa
innocua burla. È stato un anno. Proverò
di nuovo a giocare, ma il tempo
– si sa – non è di certo
galantuomo, è invece un antico venditore
di fumo, di trappole per topi che non hanno
mai funzionato, di moneta
fuoricorso. Proverò
ugualmente. Potrei fare ritorno
a via San Domenico
come visitatore invece
che pendolare, anzi no, come una guida
con il cappello colorato
e il gagliardetto sulla lunga asta
sempre in alto. Un’altra burla:
non saprei nemmeno
dove guidare e chi; mi seguirebbe
un gruppo di turisti senza meta
in viaggio per una ricerca senza oggetto
perdutamente assoluta
come il disegno che slontana
laggiù cime di monti
e tu non sai neppure se davvero
esistono.