Giardiniere imprevidente

Quando ho sistemato il mio giardino
non ho previsto la possibilità di una guerra atomica

Un bosco di ginkgo biloba con il caratteristico foliage autunnale

Ho pubblicato quattro anni fa, con l’editore Campanotto, un volumetto di versi, Piante del mio giardino (qui trovate tutte le notizie e qui una bella recensione di Anna Santoliquido), nel quale, come è chiaro dal titolo, ho descritto il rapporto con le mie piante e la sistemazione del mio giardino.

Ora, in questi tempi di guerra, in questi tempi durante i quali in troppi dichiarano continuamente che la guerra atomica non ci sarà, mi è venuto in mente che allora, come giardiniere, non avevo neppure lontanamente previsto che si potesse parlare di una guerra atomica, sia pure per dire che “non ci sarà”: pessimo segno, quest’ultimo, come sanno tutti gli esperti di comunicazione.

I versi che trascrivo qui sotto sono una ritrattazione: ritrattazione che non riguarda tutto il mio lavoro di giardiniere, ma gli effetti su di esso di questa mancata previsione. Nel titolo uso la parola «Palinodia»: scusate questo arcaismo che risale, attraverso Leopardi, autore di una Palinodia al marchese Gino Capponi (1835), a Stesicoro (638 ca. – 555 ca. a.C.), autore di un poemetto di condanna di Elena (perduto) e di una successiva Palinodia, della quale restano pochi versi, ma che è bastata a creare un topos letterario. Si tratta di versi inediti, scritti una ventina di giorni fa e conosciuti, finora, solo dalla dedicataria, Manuela Vico. In questo caso, mi è sembrato che fosse opportuno venir meno alla riservatezza che dedico sempre a ciò che scrivo: riservatezza che dura fino a che non ho apportato l’ultima correzione sull’ultima bozza del paziente editore di turno.

Inutile dire che, mentre pubblico questi versi, non smetto di curare il mio giardino: nelle scorse settimane ho potato le rose, che ora mi ripagano con una fioritura stupenda; e oggi dovrei finire il lavoro di estirpazione delle erbe infestanti. Tutto come al solito.

Michele Tortorici, Palinodia del giardiniere imprevidente (testo inedito)

A Manuela, persona
di buona volontà
e a tutte le persone
come lei.
Che la loro forza possa scongiurare
ciò che il mio pessimismo prefigura.


Delle piante del mio giardino ho scritto
tempo fa. Ho scritto
di come le ho curate per far sì
che fosse la loro crescita più lieta. Ho scritto
che le mie piante e io sappiamo bene
di appartenere, senza
poi troppi distinguo, alla progenie
di tutto ciò che vive e muore e che ci piace
proprio per questo condividere
il tempo mentre scorre e il susseguirsi, dentro
a quel suo scorrere, delle stagioni. Ho scritto
delle conversazioni che con le mie piante
ho l’abitudine di fare. Discorsi seri: ho detto loro
per esempio dei baccanali che accompagnano,
come ci ha spiegato tanto tempo fa
Euripide, la decapitazione
del futuro, accompagnano
la madre che uccide il figlio e che ne porta
la testa mozzata sulla picca. Discorsi seri
sulle nostre generazioni che decapitano
il futuro delle generazioni che verranno.

Quello che non ho scritto è che, fra tutte
le piante del mio giardino, manca
proprio quella che oggi, aprile appena
cominciato del duemila e ventidue, più di ogni altra
vorrei avere. Parlo
del ginkgo biloba. È vero
che il mio giardino è piccolo e che un albero
come il ginkgo biloba rischia,
una volta cresciuto, di coprirlo
del tutto. È vero anche, tuttavia, che io
non avevo, nel disporre a suo tempo il mio giardino,
considerato il rischio
di una guerra atomica che avrebbe
ridotto me e il mio giardino in cenere.

Già, la cenere. Quello che si sa di ciò
che è successo là dove le bombe
atomiche sono state, quasi
ottant’anni fa, scaraventate è che le uniche
creature viventi capaci
di rinascere dalla cenere appestata
di radiazioni furono
i ginkgo biloba. Goethe aveva visto bene, dunque,
a definirli “Lebensbäume”, “alberi
della vita”, a considerarli
tutt’uno con la “Urpflanze”, la “pianta
primordiale” che porta a unità
ciò che è diviso. Goethe aveva visto bene e il giorno
che la Terra sarà cenere a causa
di una guerra atomica, il fatto
che possano qua e là nascere piante e
da qualche altro pianeta il nostro,
chissà quando, chissà da chi,
possa essere visto, anziché tutto grigio, almeno
con qualche macchiolina verde mi consolerebbe
persino del fatto di essere io
parte di quel grigio.

Pessimista? Sì, pessimista. Avviluppato,
però, in un groviglio dentro al quale
posso pensare
di scrivere parole sulla fine
con l’illusione che non finiranno.

Pessimista o no, che posso farci adesso
se, a suo tempo,
non ho pensato proprio che una bomba, quella
potesse prima o poi
bruciare, insieme a tutto il resto
della Terra, il mio giardino? Oggi, aprile appena
cominciato del duemila e ventidue, mi rendo conto
di essere stato imprevidente, ma qui
per un ginkgo biloba
di posto non ce n’è davvero. Chi ha giardini
più grandi del mio ne pianti più che può. Sarà,
chissà quando, chissà
da quale altro pianeta, chissà
per chi, meglio vedere
qualche macchiolina verde
anziché tutto grigio, grigio e basta.

Grazie. Michele