Il 28 luglio scorso i Portici di Bologna sono stati inscritti nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco.
Tutte le volte che sono stato a Bologna (tante), camminare sotto quei portici, soprattutto di sera, ha sempre provocato in me emozioni forti. Poco meno di venti anni fa ho scritto su queste emozioni una poesia, Sotto i portici, poi inserita nella raccolta La mente irretita (Manni, 2008).
Mi sembra che questi versi possano affiancarsi degnamente, oggi, alle motivazioni (qui) che hanno spinto i Commissari dell’Unesco a prendere la loro storica decisione.
Non credo che ci sia altro da aggiungere, se non una dedica speciale ai tanti amici che ho a Bologna.
Michele Tortorici, Sotto i portici, da: La mente irretita (Manni, 2008)
È quasi ancora piena questa sera
la luna, ma sotto i portici
del cielo non si sa nulla o quasi; c’è appena una memoria
che si attarda come a un appuntamento
controvoglia. Qui si vedono
soltanto luci fioche che diffondono nell’aria
scie giallastre di uomini in cammino. E il cielo
è là, appena una memoria
lontana: c’è tanta terra
qui, ci sono pavimenti di pietre sminuzzate, infiniti,
logori di passi, di tempo, del continuo
rincorrersi di voglie, di pensieri, di intenzioni
e rapprendersi di orme, di passaggi. Una lentezza
concreta ti resiste accanto
e tu la senti perché è resa oggetto
dal trascinarsi in mezzo agli archi, dallo scivolare
piano sopra le tessere che lega
scompostamente una malta rossastra qua e là
frantumata. C’è un peso in più che hai
addosso sotto questi portici e ti copre
e ti scalda come un vecchio plaid e puoi vivere
tutta la vita senza
il rimpianto di non avere visto questa sera
la luna già un poco calante
nell’alone che l’ha fatta diventare più grande
e l’ha portata vicino e l’ha posata lì sopra la piazza
Otto agosto così grande
anch’essa, così pronta
ad abbracciare il nulla luccicante nel suo vuoto
notturno. Quanto a te, ti accontenti della volta bassa
che ricopre i tuoi umani passi, ti arrendi
all’indolente specchiarsi di ciò che sei
in ciò che ti racchiude. Non avrai bisogno
di altro perché qui è così piccolo il mondo
che basteranno poche parole dette con indifferenza
per farti vivere e lasciare nell’aria la tua scia
giallastra, un filo che permetta il ritorno
o il ricordo almeno, una traccia: come se la pietra
assorbisse di te un memento, anzi come se tu
– insensata Medusa – fossi capace di impietrire
il tuo respiro per fare
rimanere una traccia nel mondo che attraversi.
È quasi ancora piena questa sera
la luna, ma sotto i portici senti il moto delle cose
che scorre adagio e che ti sfiora piano
e sei certo che continuare a vivere è possibile
come forse non avresti creduto se fossi stato solo
sulla piazza grande con quella grande luna
opaca a penetrarti di nulla come penetra ora
le pietre del selciato e ne disegna
i contorni neri in una fuga che non sai dove finisce.