Lo scorso 27 gennaio, Giornata della Memoria, “Il Giornale” è uscito con un editoriale del direttore, A noi Schettino, a voi Auschwitz. Questo titolo terrificante voleva rispondere a un articolo del settimanale “Der Spiegel” che – sembra – attaccava, per la codardia del comandante della nave da crociera Costa Concordia, tutti gli italiani.
Non sono riuscito in alcun modo a trovare on line l’articolo in questione e non ho avuto né tempo né voglia di cercarlo nelle edicole che hanno giornali stranieri. Ma non ha importanza: di stupidaggini ne scrivono tutti in tutto il mondo. Forse, e sottolineo il forse, ne è stata scritta una anche su “Der Spiegel”. Non sarebbe la prima.
Considero però, eventualmente, stupidi il titolo e l’articolo attribuiti al settimanale tedesco e terrificanti il titolo e l’articolo del giornale italiano. Terrificante il titolo, perché attribuisce a tutti i tedeschi e a tutta la odierna Germania la responsabilità dei campi di sterminio. E invece proprio la Germania sta compiendo, con un coraggio che in Italia è mancato e ancora manca, uno straordinario e doloroso percorso culturale e politico di presa di coscienza delle proprie responsabilità. Terrificante l’articolo perché usa con una disinvoltura che non ricordo in tempi recenti sia la parola “razza” sia soprattutto il concetto che essa esprime così come elaborato dal nazismo e ripreso poi dal fascismo. Il senso dell’editoriale si può infatti così riassumere: i tedeschi, «quelli della razza di Jan Fleischauer (autore dell’articolo)» sono, in quanto tali, cioè in quanto tedeschi, sterminatori di ebrei, sparatori alla schiena di donne e bambini, «arroganti e pericolosi per l’Europa».
Non aggiungo altro se non la mia profonda vergogna per il fatto che questo articolo delirante pretende di rappresentarmi in quanto italiano.
Ebbene no. Non mi rappresenta.
Amo la Germania, la sua musica, la sua letteratura, la sua poesia, le sue città faticosamente ricostruite dopo l’ultima guerra e oggi piene di una straordinaria vitalità sociale e artistica, i suoi viaggiatori che da secoli si emozionano di fronte alle bellezze e alla cultura del nostro paese, il suo popolo. Piango, insieme a questo popolo, gli orrori che in suo nome il nazismo ha perpetrato. Ammiro il coraggio con il quale questo popolo oggi in ogni piazza, in ogni strada, ricorda il suo terribile passato ed è capace di fare i conti con le sue non meno terribili responsabilità. Non mi importa nulla se in Germania qualche giornalista e qualche testata giornalistica sono in vena di sparate anti-italiane. Nella mia testa non agisce in alcun modo il concetto di “razza”, cioè quello che attribuisce una caratterizzazione agli individui per ragioni naturali (di appartenenza etnica o nazionale) e non per le specifiche scelte che ciascuno di essi compie.
Ho scritto qualche anno fa un libriccino di poesie, I segnalibri di Berlino, che è al tempo stesso un diario di viaggio e una dichiarazione di amore per questa città e per la sua capacità di vivere la memoria del proprio passato. Ma non voglio qui fare una citazione di me stesso. Voglio invece trascrivere alcuni bellissimi testi poetici che rappresentano, senza bisogno di alcun commento, la fraternità di due culture che da sempre trovano ispirazione l’una nell’altra. Il primo testo è di Heinrich Heine (1797-1856): si tratta della poesia Mit schwarzen Segeln, tratta dalle Neue Gedichte (1844). Il secondo testo è la traduzione di quella poesia a opera di Giosue Carducci (1835-1907), Passa la nave mia con vele nere, tratta dal terzo libro delle Rime nuove (1887). Il terzo testo è la straordinaria reinterpretazione di quella stessa poesia da parte di Giacomo Noventa (1898-1960) ne Gò vestìo, sì, de luto la me barca.
Ecco dunque i testi. Lasciamo che parlino da soli dei nodi che legano due popoli e due culture.
Heinrich Heine, Mit schwarzen Segeln
Mit schwarzen Segeln segelt mein Schiff
Wohl über das wilde Meer;
Du weißt, wie sehr ich traurig bin
Und kränkst mich doch so schwer.
Dein Herz ist treulos wie der Wind
Und flattert hin und her;
Mit schwarzen Segeln segelt mein Schiff
Wohl über das wilde Meer.
Giosue Carducci, Passa la nave mia con vele nere
Passa la nave mia con vele nere
Con vele nere pe ‘l selvaggio mare.
Ho in petto una ferita di dolore,
Tu ti diverti a farla sanguinare.
È, come il vento, perfido il tuo core,
E sempre qua e là presto a voltare.
Passa la nave mia con vele nere,
Con vele nere pe ‘l selvaggio mare.
Giacomo Noventa, Gò vestìo, sì, de luto la me barca
Gò vestìo, sì, de luto la me barca,
E me fido del mar;
Tì ti-sa ben che mi gò perso tuto,
Par volerte amar.
El to cuor m’à tradìo, come fa ’l vento
A ùn che sa dove andar;
Mi gò vestìo de luto la me barca,
E me fido del mar.