Il 12 maggio Giorgio Bárberi Squarotti
ha presentato al Salone del libro di Torino
il mio nuovo libro, Viaggio all’osteria della terra
Quando, dopo una breve introduzione di Cinzia Burzio, ha preso la parola per presentare il mio Viaggio all’osteria della terra, Giorgio Bárberi Squarotti era stato appena intervistato da una troupe del Salone del Libro a proposito della “Primavera digitale”, tema conduttore della edizione del 2012. La sua opinione è che i supporti digitali siano adatti alla lettura di testi sui quali non si voglia poi esercitare una ri-lettura, testi che non si abbia bisogno di tenere accanto in ogni momento per capirne di più attraverso un continuo contatto fisico e visivo, insomma testi di consumo. Poi ci sono i “testi che restano”, quelli con i quali il rapporto non può che essere assiduo, persistente, ininterrotto, per una lettura che ci illumini su ciò che siamo. Tra questi, i testi poetici hanno un posto, se non esclusivo, certamente di primo piano.
E, tra i testi poetici destinati a restare, Bárberi Squarotti ha collocato anche le mie due raccolte, La mente irretita e Viaggio all’osteria della terra. Della prima ha voluto ricordare la piacevole sorpresa con la quale, quattro anni fa, aveva accolto il libro di uno sconosciuto, nel quale aveva subito visto la profondità dei temi e la forza del linguaggio poetico. Alla seconda, che era l’oggetto dell’incontro, ha dedicato, più che una presentazione, un discorso critico centrato su due grandi questioni.
Una è stata quella del rapporto tra mito, memoria letteraria e scrittura poetica. La letteratura – sostiene Bárberi Squarotti – e, in particolare, la scrittura poetica quando è tale, aggiungono qualche cosa di nuovo a ciò che conosciamo oppure ce lo fanno conoscere in modo nuovo. Il poeta, nel momento nel quale riscrive o reinterpreta il mito o traduce in forme moderne la memoria letteraria, determina anche un nuovo rapporto tra noi che leggiamo e quel mito e quella memoria. La poesia La stanchezza di Ulisse (che appartiene alla prima sezione del Viaggio all’osteria della terra) è, secondo Bárberi Squarotti, un felice esempio di questa capacità del poeta di aprire una prospettiva nuova nel rapporto tra il lettore e le sue letture. «Rispetto all’Ulisse di Dante, e anche a quello di Saba, rispetto all’Ulisse che, dopo tante avventure si rimette di nuovo in mare, quello di Tortorici – ha detto Bárberi Squarotti – non ha ricavato da tutto ciò che ha fatto un nuovo entusiasmo e un nuovo interesse, ma è stanco, di una stanchezza che è tipica dell’uomo moderno. Qui abbiamo una caratterizzazione nuova dell’episodio e del personaggio di Ulisse con una originalità che ne fa un personaggio tipico del nostro mondo: questo Ulisse ha capito che è inevitabile fermarsi e che, arrivato alla fine di tutte le avventure possibili, la stanchezza non può che portarlo a sentire “il peso / di ogni umano limite cadergli / addosso”». «Nella scrittura poetica di Tortorici – ha affermato Bárberi Squarotti a conclusione dell’analisi della prima delle due questioni affrontate -, Ulisse, ripreso dal mito, viene reinventato come espressione dell’uomo moderno».
L’altra questione sulla quale si è soffermato con il suo discorso critico Bárberi Squarotti è stata quella relativa al modo in cui la poesia interviene a determinare non solo il rapporto tra il lettore e le sue letture, ma anche quello del lettore con la vita quotidiana. Per questo aspetto ha ricordato l’importanza dei testi contenuti nelle altre sezioni del libro, testi che, fra «visioni, viaggi, paesaggi, città, strade, incontri, fanno sì che il lettore trovi finalmente illuminato, esplicitato e spiegato ciò che aveva magari confusamente intuito». Nell’ambito di questo secondo campo di analisi critica Bárberi Squarotti ha voluto ricordare in particolare una poesia, Fortezze (nella sezione Le vie amiche) e l’intera sezione Papaveri e papere.
La poesia Fortezze, ha precisato il critico nella sua interpretazione, «si riferisce a un treno che va da Torino a Milano Porta Garibaldi e che passa davanti a vecchie fabbriche dismesse. È una poesia che richiama alla mente quei vecchi stabilimenti industriali, come quelli del Vanvitelli a Caserta, come quelli che ancora sono stati realizzati a Torino tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, che avevano una loro dignità e che, anche abbandonati, continuano a dirci qualcosa. Ecco, il viaggio in treno significa anche passare attraverso il passato, e Tortorici passa attraverso “castelli in aria”, sogni o ciò che magari è diventato sogno, ma che è stato storia e che il poeta ci ripresenta nella sua verità, una verità che si trova ben al di là dei dati che si possono ricavare dalla cronaca e dall’attualità». A questa poesia Bárberi Squarotti ha poi accostato quelle che raccontano angoli di città come Berlino, Parigi, Toronto, New York e molte altre e ha citato in particolare Rue Lepic che si riferisce, appunto, a una via di Parigi.
«Un’altra parte del libro che considero particolarmente bella – ha poi aggiunto Bárberi Squarotti – è costituita dalle molte piante e dai molti alberi della sezione Papaveri e papere, dalle acacie selvatiche, ai tigli, agli olmi, agli ulivi e ad altri ancora. Io ho una esperienza personale, non a Torino, naturalmente, ma al mio paese nelle Langhe, di molti di questi alberi e, se la lettura della poesia è un modo di ripercorrere la propria esperienza, ecco che la poesia di Tortorici, come ho potuto provare di persona, la illumina e la spiega».
Cinzia Burzio, che ha coordinato con grande finezza l’incontro, ha voluto che, prima della sua conclusione, io rispondessi a una domanda sul tema del ritorno, che lei considera centrale nell’insieme del libro. E in effetti si tratta di un tema – questo il senso e la sintesi della mia risposta – che tocca corde profonde della mia sensibilità. Il ritorno è soprattutto, nel Viaggio all’osteria della terra, l’illusione che ci spinge tutti a pensare il tempo come un viaggiatore che non percorra con decisione un cammino in avanti, ma che possa essere trattenuto in qualche modo, che possa tornare, appunto, sui suoi passi: come se i giorni, invece di andarsene uno dopo l’altro, tornassero, trattenuti magari tra i moli di un porto, oppure presi per burla tra i cavallucci che girano su una giostra, per citare gli esempi contenuti nelle due poesie Porto di giorni e La giostra. Il tempo è il vero protagonista del libro, il tempo guardato in faccia con la gioiosa consapevolezza di non temerlo e anche con la fatica e l’impegno necessari a recuperare ciò che lascia: la testimonianza, le molte testimonianze del nostro essere uomini.
Un grazie di cuore, per l’organizzazione dell’incontro, all’editore Manni e, in particolare, ad Anna Grazia D’Oria, sensibile e attenta responsabile della collana “Pretesti” nella quale è stato pubblicato il Viaggio all’osteria della terra.