Il 12 luglio scorso nella sinistra italiana si discuteva ancora, per il terzo giorno consecutivo, se il Pd avesse fatto bene o male (o benino o maluccio o malissimo: l’ipotesi che avesse fatto benissimo non era stata presa in considerazione da nessuno) ad acconsentire alla sospensione di alcune ore dell’attività parlamentare. Questa sospensione era stata chiesta dai senatori del Pdl per una esigenza istituzionale effettivamente inderogabile: quella di poter piangere sulla annunciata prossima conclusione in Cassazione, il 30 luglio, di almeno uno dei procedimenti giudiziari che riguardano il loro leader. Nei giorni e nelle settimane precedenti si era discusso di argomenti altrettanto futili che è inutile elencare qui. Nei giorni successivi il Parlamento italiano si è impegnato in una inutile prova di forza sul “Decreto del fare” e intanto il Pd ha intensificato il suo inutilissimo (agli occhi degli italiani) dibattito sulle regole interne. Nel frattempo, mentre si moltiplicano parole – e atti – di razzismo a causa dei quali il mondo civile guarda con orrore al nostro Paese, il 30 luglio si sta avvicinando e tutti coloro che si occupano di politica, dentro questi confini nei quali agisce da troppo tempo una sorta di veleno dell’intelligenza, non pensano più ad altro e non discutono più di niente se non della ormai imminente conclusione in Cassazione, dopodomani, del famoso processo.
Lo stesso giorno 12 luglio dal quale ho preso le mosse, invece, nel Palazzo delle Nazioni Unite a New York, una ragazzina di sedici anni, Malala Yousafzai, si è rivolta ai leader mondiali chiamandoli «fratelli e sorelle» e ha parlato loro di cose che ritiene importanti e che probabilmente, fuori d’Italia, lo sono. Ha detto che non parlava per se stessa, ma «per tutti coloro la cui voce non può essere ascoltata» (cioè soprattutto le donne, i bambini e le bambine), e affermando l’importanza di essere al fianco di coloro che in tutto il mondo lottano per l’affermazione in particolare di alcuni diritti: quello di «vivere in pace», quello di «essere trattati con dignità», quello alla «uguaglianza di opportunità» e quello, che promuove e favorisce tutti i precedenti, di «venire educati». Poi ha continuato così:
Cari fratelli e sorelle, è il momento di prendere posizione.
Per questo oggi noi chiediamo ai leader del mondo di modificare le loro strategie politiche in favore della pace e della prosperità.
Noi chiediamo ai leader del mondo che tutti i processi di pace devono proteggere i diritti di donne e bambini. Un processo che va contro la dignità delle donne e contro i loro diritti è inaccettabile.
Noi chiediamo ai leader del mondo di assicurare una educazione libera e obbligatoria per ogni bambino in tutto il mondo.
Noi chiediamo a tutti i governi di combattere contro il terrorismo e la violenza, per proteggere i bambini dalla brutalità e dal male.
Noi chiediamo a tutte le nazioni sviluppate di sostenere l’espansione delle opportunità educative per le bambine nel mondo in via di sviluppo.
Noi chiediamo a tutte le comunità di essere tolleranti – di rifiutare i pregiudizi basati sull’aspetto, le convinzioni, l’appartenenza a gruppi, la religione o il genere. Chiediamo di assicurare libertà e uguaglianza per le donne in modo che esse possano fiorire. Noi non possiamo prosperare tutti se la metà di noi è respinta indietro.
Noi chiediamo alle nostre sorelle in tutto il mondo di essere coraggiose – di afferrare la forza che è dentro di loro e di realizzare tutte le loro potenzialità.
[…]
Un bambino, un insegnante, una penna e un libro – ha concluso Malala – possono cambiare il mondo.
In Italia, dopo mezza giornata di attenzione, dopo qualche colonna di colore sui giornali di carta e qualche decina di secondi di notizia e commento nei giornali televisivi, del discorso di Malala Yousafzai alle Nazioni Unite nessuno parla più. Eh già, che c’importa? Non parlava mica di noi!
Certo, il discorso della giovane pakistana che i talebani hanno cercato di ridurre al silenzio a causa di un suo blog sulla libertà delle donne sembra rivolto a Paesi diversi dal nostro.
Ma ne siamo così sicuri noi che viviamo in un Paese dove ogni due giorni una donna viene ammazzata specificamente per intolleranza di genere e dove, a mezzo secolo dall’introduzione della scuola media obbligatoria (ma a sette anni soltanto dalla estensione dell’obbligo fino ai sedici anni!) un terzo circa dei ragazzi abbandona la scuola appunto tra la fine della scuola media e i primi due anni delle superiori?
Ne siamo così sicuri noi che viviamo in un Paese nel quale l’investimento in istruzione è inferiore, in percentuale sul Pil, a quello di quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea? A proposito, provate a indovinare quali sono quelli che vengono dopo.
Ne siamo così sicuri noi che viviamo in un Paese nel quale oltre la metà dei cittadini, indipendentemente quanto ha frequentato o non frequentato la scuola, non è in grado di comprendere un semplice periodo se esso contiene più di una informazione (e questo fatto ci colloca all’ultimo posto nelle statistiche di “Literacy”, cioè di “alfabetizzazione” della popolazione tra i Paesi dell’Ocse)?
Ne siamo così sicuri noi che viviamo in un Paese nel quale si trovano sotto la soglia della povertà in particolare le famiglie che hanno più di tre figli?
Ne siamo così sicuri noi che viviamo in un Paese nel quale è lecito ricondurre alla generale disastrosa mancanza di istruzione gran parte dei problemi di intolleranza (e violenza) di genere e di razzismo che fanno inorridire i nostri vicini europei?
Io non ne sono affatto sicuro e, se fossi stato un politico italiano, in particolare se fossi stato un politico della sinistra italiana, in questi giorni avrei studiato attentamente il discorso di Malala Yousafzai, perché nelle sue parole c’è un profumo di futuro che non sento aleggiare da tempo in nessuna delle aree di questa tanto frantumata sinistra. Ma c’è di più: se fossi stato un leader del governo delle “larghe intese” ne avrei fatto oggetto di discussione con gli alleati e, se fossi stato il Ministro dell’Istruzione, mi sarei incatenato a Palazzo Chigi fino a che questa discussione non fosse avvenuta. E invece nessuno ha fatto – né pensato – nulla a proposito del discorso di Malala. Forse è sfuggito. Ma … ecco la pagina web dove si può leggere integralmente. Pensate che domani questo discorso sarà sulla bocca di tutti i nostri politici?