La negazione degli altri. Una spiegazione del populismo

Sfrecciare a cinquanta metri dalla costa

Qualche giorno fa sono andato a fare il bagno al Circeo, precisamente in quel tratto di scogliera vicino al faro che prende il nome di Punta rossa, credo, dal colore delle rocce. Chi mi conosce sa che “fare il bagno” per me significa nuotare, allontanarmi una bracciata dopo l’altra dal punto nel quale mi sono buttato in acqua e vedere quel punto allontanarsi sempre di più fino, magari, a scomparire dietro una punta. Da ragazzo mi allontanavo parecchio dalla costa; poi, con il passare degli anni, ho cominciato a gustare il nuoto più vicino a terra: ho fatto, come si dice, di necessità virtù. Mancanza di forze? Certo, come non riconoscere che la spinta delle braccia e delle gambe è diminuita parecchio a causa dell’età. Ma la decisione di non avventurarmi verso il largo dipende principalmente dal sempre maggior numero di motoscafi che sfrecciano appena qualche decina di metri più in là rispetto al mio pur prudente percorso natatorio.
È vero che ci sono norme precise, norme che, sul sito della Lega navale italiana, vengono riassunte in questo modo: «La navigazione costiera con le unità da diporto è disciplinata dal Capo del Compartimento. Le ordinanze stabiliscono i limiti entro i quali la navigazione a motore è vietata, generalmente nella fascia dei 300-500 metri dalla costa (o altre distanze come nelle zone adriatiche) tra le ore 08.30 e le 19.30 in cui, per ragioni di sicurezza dei bagnanti, si può navigare solo a remi. Attenzione: nella fascia costiera dei 1.000 metri la velocità delle unità non deve superare i 10 nodi».
Questo è vero, ma chiunque legge queste righe e frequenta zone di mare sa bene che nessuna di queste norme è rispettata e io posso affermare con assoluta sicurezza che i motoscafi che vedo sfrecciare a poche decine di metri dalla costa superano abbondantemente i 10 nodi. Posso anche aggiungere che, poiché molti di questi, in planata, finiscono per avere una prua molto alta, chi è al timone non può assolutamente vedere un eventuale bagnante che si trovi qualche decina di metri davanti a lui, e non vedrà nemmeno un piccolo natante gonfiabile sul quale qualcuno se ne stia in pace a prendere il sole o a pescare. Difatti, di incidenti causati dallo spregio di queste regole siamo costretti a fare ogni estate il tragico, più o meno lungo, elenco.
Ho parlato di Punta rossa al Circeo e potrei parlare allo stesso modo dell’isola dove vado tutti gli anni ad agosto e dove ho esperienza di chilometri di nuotate quotidiane (quindi di decine di ore trascorse in un mese lungo le coste a vederne di tutti i colori), così come potrei parlare senza sostanziali differenze di qualunque altro posto di mare tra quelli che ho frequentato negli ultimi venti o trenta anni.

La negazione degli altri e la base sociale del populismo:
una questione culturale

Ma che cosa c’entra tutto questo con il populismo di cui parlo nel titolo di questo mio intervento?
Ora ci arrivo.
Tutta questa folla di motoscafi che sfreccia a cinquanta metri dalla riva ha infatti molto a che vedere, secondo me, con una domanda che io mi pongo spesso: qual è la base sociale del populismo e, in particolare, di quella versione italiana del populismo che è, per ora, il berlusconismo? Ecco, io non sono un sociologo né un politico, ma scommetterei che la stragrande maggioranza degli “sfrecciatori” (e, naturalmente, dei loro consimili in tutti i settori della società) sono il nerbo di questa base sociale.
Non sono così superficiale né così fazioso da non sapere che lo zoccolo duro del partito di Berlusconi, comunque questo partito si chiami, comprende anche un normale “blocco conservatore”, quella parte della società che non vuole cambiare nulla di quello che la circonda e che esiste in tutti i paesi del mondo, a volte con una nobile volontà di difesa delle tradizioni, della certezza del diritto, del senso dello Stato. Ma, a parte il fatto che in Italia questa nobile volontà di difesa dell’esistente in quanto “buono” mi sembra almeno offuscata, ciò che non esiste negli altri paesi sviluppati è proprio quell’estesa platea di persone alle quali non interessa tanto conservare il bene (o il male) che c’è, quanto affermare il proprio esclusivo interesse, indipendentemente dalla sua legittimità, fino alla sostanziale negazione degli altri, fino alla estrema conseguenza, cioè, di pensare che gli altri non esistano o che, se esistono, non hanno rilevanza rispetto a quell’interesse.
Questo insieme di persone si sente più forte, e quindi sta meglio, se si riconosce in un modello, se è guidato da un capo che dell’interesse proprio e della negazione degli altri (della società nel suo complesso e – peggio – dello Stato, delle istituzioni) fa una sorta di religione, anzi, una sorta di impero religioso, il sacro moderno impero dell’affermazione di sé, dove l’imperatore consacra i suoi fedeli vassalli e questi lo difendono perché sono, appunto, in tutto e per tutto suoi, soprattutto nel condividerne tale negazione degli altri.
Questa è, ne sono convinto ogni volta che vedo un motoscafo sfrecciare poco lontano da dove nuoto, la base sociale del populismo italiano: quella base indefettibile che, sommata al “blocco conservatore”, dà al berlusconismo una percentuale di votanti in grado di farne un pilastro – non sempre maggioritario, ma comunque inamovibile – della politica italiana. Tuttavia, qui è il problema, questa compagnia di “Sfrecciatori & Co.”, non si sconfigge politicamente, ma culturalmente.
Né, lasciatemi fare questo non breve inciso, possono certo abbattere questa compagnia più o meno gravi sentenze giudiziarie. Da quanto ho detto finora si evince anzi chiaramente che è l’illegittimità dell’affermazione dell’interesse privato, che è la qualità di questo interesse di porsi in un luogo diverso dalla legge (la quale riguarda soltanto “gli altri”) a eccitare l’adorazione nei confronti del sacro moderno imperatore e ad aumentare, di conseguenza, i voti del suo partito. Il sacro moderno imperatore ci tiene ad apparire, più ancora che a essere, l’abitante privilegiato di quel luogo diverso dalla legge. Una condanna è il prezioso riconoscimento di questo suo status, tanto più se essa viene poi aggirata con leggi ad personam o viene sbeffeggiata – insieme a coloro che l’hanno emessa – con lo sventolio di bandiere che inneggiano alla libertà di stare in quel luogo o, addirittura, viene proposta come problema degli “altri” (della società nel suo complesso, dello Stato, delle istituzioni). Questo è il busillis del populismo italiano: la compagnia degli “Sfrecciatori & Co.” si riconosce in quello status, vuole quello status e abbandonerebbe un sacro moderno imperatore rispettoso della legge. Ammettiamo per ipotesi che questo sacro moderno imperatore, accusato di rapporti sessuali con una minorenne, ultrasettantenne, con i postumi di una grave operazione per cancro alla prostata, continuamente debilitato dalle medicine che lo gonfiano sotto le enormi giacche doppio petto, avesse presentato una perizia medica che lo dichiarava impotente. Chi avrebbe potuto non credergli? I magistrati, per quanto “comunisti” e pregiudizialmente colpevolisti, sarebbero stati in serie difficoltà. Egli avrebbe forse evitato una condanna. Ma chi, tra la compagnia degli “Sfrecciatori & Co.”, lo avrebbe più adorato? Tutti gli avrebbero voltato le spalle. Compatimento al posto dell’adorazione!
Chiuso l’inciso, arrivo alla conclusione. Io sono convinto che sia stata la decadenza della scuola e della cultura italiana negli ultimi decenni a creare intorno a questa compagnia, un’area di consenso. Quando ero ragazzo, se per caso un motoscafo provava a passare a tutta velocità vicino alla costa (capitava raramente, ma capitava anche allora), quasi tutti i presenti osservavano o pensavano: «Che cafone!». Ricordo di averne parlato con sorrisi di commiserazione, forse un quarto di secolo fa, con il ricchissimo proprietario di un cantiere navale di Trapani, che costruiva motoscafi per gli altri e, per sé, aveva costruito uno splendido gozzo di legno con una vela latina e lo usava per godersi adagio adagio le meravigliose acque delle isole Egadi. Oggi, coloro che guardano passare un motoscafo a tutta velocità vicino alla riva osservano o pensano quasi tutti: «Ammazza che barca!», con una punta di invidia per chi ci sta sopra. Ecco l’effetto di decenni di decadenza della scuola molto più che del dominio dei media da parte del sacro moderno imperatore.

Più cittadini in una scuola di qualità, meno “Sfrecciatori & Co.”: propongo al prossimo governo a guida progressista di riflettere sul perché le due quantità in questione sono inversamente proporzionali e, dopo averci riflettuto bene – e magari anche presto -, di incrementare di molto gli investimenti sull’istruzione e di pensare a norme che ne aumentino la qualità.

Tanto, di cafoni “sfrecciatori”, e di loro consimili in tutti i settori della società, ce ne saranno sempre abbastanza.