Le Assises de la traduction littéraire:
Un port de jour

Gli atti dell’atelier de traduction dedicato alla mia poesia Porto di giorni
e la traduzione di Danièle Robert

In un post di oltre un anno fa avevo promesso ai lettori di questo mio blog di tenerli informati della pubblicazione degli Atti delle “Assises de la traduction littéraire” tenutesi ad Arles nel 2013 e dedicate al tema “Traduire la mer”.
In quelle “Assises”, il più importante consesso mondiale di traduttori in lingua francese, la mia poesia Porto di giorni ha rappresentato la produzione poetica italiana ed è stata oggetto di un atelier de traduction curato da Danièle Robert. Ecco dunque l’estratto degli Atti contenente la relazione su quell’atelier, il cui interesse, ben al di là del fatto che riguarda una mia poesia, consiste nel proporsi come vero e proprio modello del percorso da seguire per affrontare la traduzione di un testo poetico, indipendentemente dalle lingue di origine e di arrivo. Tutto merito della bravissima Danièle Robert alla quale devo la splendida traduzione di due miei libri: uno di versi, La mente irretita (La pensée prise au piège, Vagabonde, 2010); e uno in prosa, il romanzo Due perfetti sconosciuti (Deux parfaits inconnus, Chemin de ronde, 2014).

Aggiungo una piccola postilla a quanto detto sulle Assises del 2013. Data l’attenzione che critici, traduttori, editori e pubblico hanno in Francia per i miei testi, nessuno si stupirà se la “voce” su Wikipedia che mi riguarda si trova sulla versione francese di wikipedia (qui) e non su quella italiana. Ringrazio di cuore gli amici francesi che la tengono aggiornata.

Trascrivo qui sotto l’estratto, ma chi vuole può scaricare il pdf semplicemente cliccando qui.

Assise della traduzione letteraria 2013
Tradurre il mare
Estratto degli Atti tradotto da Roberta Bisini
____

Atelier di italiano
curato da Danièle Robert

Carosello di barche carosello di parole
su una poesia di Michele Tortorici, Porto di giorni
(tratta da Viaggio all’osteria della Terra, San Cesario di Lecce, Manni editori, 2012)

Per una felice coincidenza, i due ateliers d’italiano di queste Assise avevano come oggetto due autori siciliani, uno romanziere, l’altro poeta, le cui opere rispettive riflettono un approccio e una visione del mare molto diversa: all’est lo Stretto di Messina, Cariddi e Scilla, dove si svolge l’affresco monumentale di Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca, all’est l’isola di Favignana, nell’arcipelago delle Egadi, inesauribile fonte di ispirazione per la poesia di Michele Tortorici.

Avevo scelto di proposito una poesia inedita in francese per favorire una lettura plurale e un largo ventaglio di proposte attraverso le quali la mia era suscettibile di modifiche: questo metodo si è rivelato estremamente ricco per me e probabilmente per la maggior parte di una sessantina di partecipanti (italianisti, specialisti di altre lingue, studenti francesi e italiani), vista la diversità e la vivacità delle loro reazioni.

Dopo una breve presentazione dell’autore – che io traduco e con il quale sono in corrispondenza regolare da qualche anno – ho distribuito ai presenti un piccolo testo scritto da lui, dando qualche indicazione molto utile per il nostro lavoro: spiega infatti Tortorici di aver “pensato” il titolo e l’insieme della poesia sul piano ritmico e prosodico riferendosi alla celebre aria di Azucena del Trovatore “Stride la Vampa” della quale abbiamo tentato un ascolto tecnicamente un po’ frustrante ma che ci ha messo in ogni caso nell’orecchio l’essenziale di quello di cui si tratta: una sottile combinazione di ritmi a due e tre tempi realizzata da una voce solista lancinante e un’orchestra molto coinvolgente. Ma Tortorici aggiunge che un po’ alla volta ha virato verso un ritmo più libero che, verso la fine della poesia, si rivela quasi prosaico.

Poi ho letto il testo in italiano:

Tornano le barche tutti i giorni al porto; e tornano
al porto i giorni con la loro
pazienza, con la cocciutaggine
che è necessaria perché non manchino mai coi loro soli
alti e bassi e poi le loro lune
cangianti. Tornano le barche e tornano
i giorni sui moli e si diffonde
l’attesa come l’eco
fa quando risuona sulle pareti alte che riparano,
dal lato di scirocco, il porto.

Porto dove le barche antiche hanno
nomi di santi usciti certe volte
da un calendario anch’esso antico, un calendario
che altrove sarà stato
dimenticato ed è rimasto qui perché si è invischiato nei detriti
salati che si ammassano e poi seguono il vento come i ragazzini
fanno con il pallone per le strade
che di là dalla Plaia alla rinfusa
si allontanano.

Porto di giorni visti mille volte, di ritorni
pervicaci tanto che li credi immutabili, di cicli ordinati, o pensati
così, comunque
rassicuranti.

Porto di giorni che fortunosamente,
uno dopo l’altro, cadono tra questi moli dove
anche loro rimangono invischiati nei detriti
che il mare accumula e che poi si disfano
in un marciume liquido: nessuno
sa quando – e se – altre correnti
riusciranno a sospingerli via di nuovo al largo.

Porto di giorni che, anche quando la folla per mercanteggiare
il pesce, d’agosto, si assiepa fin sul bordo
della banchina, ostinatamente ritornano, ai vocii
indifferenti, indifferenti a tutti i calpestii. E allo stesso modo
che respira, al tendersi
e allentarsi delle corde,
ogni barca ormeggiata, i giorni pure, col moto delle onde,
respirano qui in un alternarsi
di slanci e tregue, premure e svogliatezze. E l’eco
risuona sulle pareti alte che riparano,
dal lato di scirocco, il porto.

Una prima constatazione: questo testo non presenta problemi insormontabili sul piano lessicale: non ci sono neologismi, né invenzioni verbali, né uso del dialetto come in Horcynus Orca; in compenso, tutta l’arte della traduzione poggia qui sul modo di fare udire una “musica” che non sia a immagine del testo originale, evidentemente, ma in corrispondenza con esso, a partire dalle risorse che ci dà il francese. Abbiamo quindi rapidamente rilevato i termini che potevano impedire la comprensione dell’insieme e abbiamo identificato il loro senso primario, nell’attesa di un affinamento, poi la discussione si è incentrata sul titolo, Porto di giorni, il cui accento sulla prima e la quarta sillaba riprende quello di Stride la vampa.

Ci trovavamo in un’impasse: impossibile far cominciare il titolo francese con “Port”, troppo aspro, e ridurre a tre sillabe, senza la “e” muta, un verso di cinque. Abbiamo quindi lasciato maturare le cose e siamo passati alla prima strofa che, a sua volta, ha suscitato un buon numero di questioni sulla ripresa: Tornano le barche…e tornano i giorni” ecc. Rispettare o no l’inversione del soggetto? Scegliere “reviennent”, “retournent”, rentrent”, oppure “tournent” con il rischio di un leggero cambiamento del senso ma stando più vicini alle sonorità dell’italiano? Ero piuttosto per questa ultima soluzione perché tornare può avere letteralmente il senso di “tourner” e l’espressione “tornare le spalle” significa proprio “tourner le dos”; ma mi sono rimessa all’opinione della maggioranza che sosteneva giustamente che ciò dava un senso differente al testo.

In ogni caso era chiaro che noi dovevamo osservare sempre la struttura d’insieme della poesia, cioè questa alternanza di ritmi a due e tre tempi che è in stretta relazione con le idee, impressioni e sentimenti che sviluppa.

Un’altra pietra di inciampo ha riguardato l’impiego per due volte dell’espressione pareti alte che, nel primo caso, designa i parapetti – costruiti o naturali? – che proteggono il porto dalle intemperie ma, nel secondo caso, soltanto le pareti rocciose della costa sud molto frastagliata e scoscesa. Tra “murs” “parois” “murailles” “falaises” la scelta era insoddisfacente perché ognuno di questi termini non si adattava contemporaneamente alle due immagini. Ho proposto “parapets”, contro il parere di molti che ci vedevano una costruzione di basso profilo, ma ho spiegato la scelta: da una parte l’autore si preoccupa di precisare pareti alte; dall’altra avevo immediatamente pensato, preparando il testo, a due versi del Bateau ivre: “ Fileur eternel des immobilités bleues / Je regrette L’Europe aux anciens parapets!”. L’uso metaforico della parola in Rimbaud è analogo a quello di Michele Tortorici che senza dubbio non ha ripreso volontariamente questa immagine, ma si traduce sempre con il proprio bagaglio personale, storico, culturale ed è questo che avvicina il lavoro del traduttore con quello dell’interprete di una partitura musicale o di un testo teatrale; è anche così che si apre la porta a delle traduzioni continuamente rinnovate.

Ci sono stati molti altri punti di discussione: così tre termini che evocano l’ostinazione ma che appartengono a tre famiglie diverse: cocciutaggine, pervicaci, ostinatamente e che non devono essere tradotti con gli stessi termini; lo stesso l’unione delle parole un marciume liquido difficile da rendere perché qualifica contemporaneamente le pagine di un calendario cadute nella sabbia e i giorni che cadono sulla banchina del porto, restando le une e gli altri invischiati nei detriti. Pareri molto condivisi ma anche dubbi: tra “macération liquide”, “magma liquide”, “liquide putréfié”,” fange liquide”, quale immagine sposa meglio il movimento del testo?

L’espressione alla rinfusa / si allontanano ha dato luogo a numerosi rifiuti: “en désordre” giudicato troppo piatto; “en pagaille” troppo familiare, “à vau l’eau” – che io suggerivo – ritenuto peggiorativo. La questione è rimasta aperta.

Un lungo dibattito c’è stato anche sull’avverbio fortunosamente che designa l’oscillazione tra la buona e la cattiva sorte, la fortuna e la sfortuna, e che qualifica qui la caduta dei giorni. Avevo proposto “bon an, mal an” ma un partecipante mi ha fatto osservare che, su un piano ritmico e per dare davvero l’impressione di una incertezza, di un errare, era meglio trovare una parola più lunga, e ha proposto “aventureusement” Tutti hanno approvato.

E si è arrivati alla conclusione di questa poesia che, sebbene alla lettura possa apparire facile da “decifrare” anche per un non italianista, si rivela invece piena di trabocchetti appena si tenta la traduzione.

Restava la questione del titolo, non risolta. Ma il tempo pressava e io ho dato la mia personale soluzione: far precedere la parola “port” da un articolo indefinito. L’accento cade quindi sulla seconda e sulla quarta sillaba, e si arriva già in questo modo al movimento che si ritroverà per tutto il corso della poesia per significare l’oscillare delle barche alla fermata, quello delle onde, e il “respiro” dei giorni che si succedono.

Sulla coppia della fine della poesia: vocii/calpestii costruito in chiasmo, al tendersi e allentarsi, slanci e tregue, premure e svogliatezze, tutti sono stati d’accordo.

Il testo che presento qui è il prodotto della mia traduzione di partenza rivista ed emendata alla luce della riflessione collettiva.

Un port de jours

Retour des barques tous les jours au port ; et retour
au port des jours avec
patience, avec l’entêtement
qui leur est nécessaire pour ne jamais faillir avec leurs soleils
hauts et bas et puis leurs lunes
changeantes. Retour des barques et retour
des jours sur les môles et l’attente
s’étire comme fait l’écho
quand il résonne sur les hauts parapets qui protègent,
du côté du sirocco, le port.

Un port où les barques anciennes ont
des noms de saints parfois sortis
d’un calendrier ancien lui-même, calendrier
qui a dû être ailleurs
oublié et qui est resté là parce qu’il s’est échoué dans les détritus
salés qui s’entassent et puis suivent le vent comme font
les gamins avec leur ballon dans les rues
qui au-delà de la Plaia s’égarent
en tous sens.

Un port de jours mille fois vus, de retours
si opiniâtres qu’on les croit immuables, de cycles réguliers, ou perçus
ainsi, en tout cas
rassurants.

Un port de jours qui, aventureusement,
l’un après l’autre, tombent entre ces môles où
échoués eux aussi ils restent dans les détritus
que la mer accumule et puis se décomposent
en une fange liquide : personne
ne sait quand — et si — d’autres courants
parviendront à les pousser au large de nouveau.

Un port de jours qui, même lorsque la foule pour marchander
le poisson, en août, se presse tout au bord
du quai, obstinément retournent, aux bruits de voix
indifférents, indifférents à tous les bruits de pas. Et de la même façon
que respire, lorsque se tendent
et se relâchent les cordages,
chaque barque au mouillage, les jours aussi, au mouvement des vagues,
respirent là dans une alternance
d’impulsions et de trêves, d’empressements et d’indolences. Et l’écho
résonne sur les hauts parapets qui protègent,
du côté du sirocco, le port.

Per concludere sull’importanza essenziale ai miei occhi di tradurre sempre la poesia tenendo conto del verso che la fonda, ho distribuito e letto una magnifica traduzione de “L’Albatros” di Antonio Prete e che è presente nel saggio che ha dedicato alla traduzione del testo poetico (vedere qui sotto) e anche una canzone di Guido Cavalcanti di cui ho redatto la traduzione.

Bibliografia:

Baudelaire, Charles, I fiori del male, traduzione dal francese e cura di Antonio Prete, Milano, Feltrinelli, 2003.
Cavalcanti, Guido, Rime, traduit de l’italien, prefacé et annoté par Danièle Robert (édition bilingue), Senouillac, Vagabonde, 2012.
Prete, Antonio, À l’ombre de l’autre langue, [All’ombra dell’altra lingua, 2011], Cadenet, les éditions Chemin de ronde, coll. “Stilnovo“, 2013.
Tortorici, Michele, La pensée prise au piège , [La mente irretita , 2008], traduit da l’italien e prefacé par Danièle Robert (édition bilingue), Senouillac, Vagabonde, 2010.