L’istruzione al centro: è possibile?

Nei giorni scorsi sono successe (fuori dai nostri confini, naturalmente) due cose che devono far riflettere noi italiani sul rapporto tra istruzione e strategie di sviluppo e sulla totale dimenticanza di questo rapporto che si nota nei programmi, nei documenti e nelle campagne di stampa dei partiti del nostro paese. Di tutti i partiti, nessuno escluso, purtroppo, come devo constatare con la personale sofferenza di vecchio uomo di scuola e di vecchio liberal di sinistra (ma esiste ancora questa categoria politica?).
Certo, il populismo dilagante qui da noi, che si dichiari di destra o che lo sia oggettivamente, rifugge dall’istruzione: ha bisogno di credulità e di ignoranza; spesso è pienamente espressione tanto dell’una quanto dell’altra. Anche l’ideologismo di certa sinistra estrema che aspetta la riduzione del paese in cenere per poter rendere credibile la sua “rivoluzione” (un po’ di keynesismo e molto indebitamento pubblico spacciati per egualitarismo sociale) non può avere l’istruzione al centro dei suoi obiettivi. Al massimo può farci entrare la scuola come magazzino ben fornito di posti di lavoro a buon mercato.
Ma in Italia ci sono soltanto populisti e finti rivoluzionari malati di ideologismo? Davvero non c’è altro? Davvero non c’è nessuno che sia in grado di fare proposte politiche? Permettetemi di non rispondere a questa domanda e di osservare soltanto che fuori d’Italia qualcuno c’è. Anzi, ce ne sono molti. Naturalmente, ognuno ha la sua prospettiva, si colloca a destra o a sinistra, pensa che siano i privilegi degli individui a muovere la storia e l’economia oppure ritiene che sia l’uguaglianza delle opportunità a mettere in gioco più risorse per l’una e per l’altra. Ma tutti, da una parte o dall’altra, considerano sempre l’istruzione uno dei cardini – non l’unico, certo – delle loro strategie e dei loro programmi.

Da quanto tempo non sentite un politico italiano che parli di istruzione, del sistema educativo, della crescita culturale dei giovani? Non dico un politico che ne parli in qualche convegno ad hoc (quindi a due o trecento spettatori) o in qualche saggio acuto e raffinato (quindi a un migliaio di lettori). Dico uno che ne parli nelle interviste tv da milioni di spettatori, nelle pagine web da milioni di contatti o magari negli interventi sui giornali da uno o due milioni di lettori e insomma in tutte quelle occasioni nelle quali un importante tema di riflessione diventa l’obiettivo fondante di una grande battaglia delle idee.
Fuori d’Italia, nell’arco di due giorni, due politici di rilievo hanno parlato di istruzione in questo secondo modo. Ed è stata la contemporaneità di questi eventi che mi ha sollecitato a scrivere qualcosa in proposito.
Ed Miliband, al recente congresso del Labour Party a Manchester, seguito massicciamente dalle tv di tutto il mondo con la considerevole eccezione dei canali pubblici e privati italiani, «has focused» (così hanno detto e scritto gli inglesi: cioè “ha messo a fuoco”, “ha concentrato”) tutto il suo intervento di rifondazione della strategia laburista su quel «forgotten 50%» (“il 50% dimenticato”) di ragazzi dei quali il sistema scolastico non deve soltanto cominciare a ricordarsi, ma deve anche valorizzare, secondo Miliband, le capacità e i talenti nei livelli dell’istruzione secondaria e post secondaria.
Il governatore democratico della California, Jerry Brown, più o meno nelle stesse ore, ha firmato un «bill» con il quale ha deliberato il sostegno – anche finanziario – alla creazione da parte delle università di almeno cinquanta libri di testo open source di varie discipline per i primi due anni (quelli della maggior selezione sociale) del livello post-secondario e ha lanciato la California Open Source Digital Library per ospitare subito queste opere e poi le altre che verranno. Nel farlo, si è rivolto ai cittadini del suo Stato con un apparato comunicativo che da noi si metterebbe in moto soltanto per il festival di Sanremo.

È possibile che nel frattempo in altre centinaia di paesi altre migliaia di politici si siano occupati di istruzione nella stessa prospettiva: quella secondo la quale essa si colloca nello snodo fondamentale che porta una società a essere capace di svilupparsi o no, a credere nel proprio futuro o no. Ma riuscite a immaginare in quale paese, in quegli stessi giorni, si parlava di porky partys, di corruzione o magari di regole delle primarie, e la parola istruzione non appariva in nessun intervento di nessun politico?