Nel suo altro confondersi: una performance di voce e musica
Che le poesie dette siano diverse da quelle scritte è esperienza comune. Una esperienza che molti hanno conosciuto attraverso le letture dantesche di Benigni. Ma tutti noi sapevamo che ascoltare il ritmo del verso attraverso il medium di una voce è altra cosa rispetto al sentire quel ritmo dentro di te quando il medium di una pagina di versi consiste solo nei tuoi occhi.
Nel secondo caso è più forte la riflessione: la poesia la leggi per studiare a fondo tutto quello che di lei ti aspetta con calma lì sulla pagina.
Nel primo caso vince l’emozione: la poesia la ascolti per farla entrare dentro di te, nelle tue vene e, solo attraverso di esse, nel tuo cervello.
Edoardo Sanguineti ha detto (in una intervista a Donatella Coccoli, per “Left”, dell’ottobre 2008): «Io ho sempre pensato a una scrittura da eseguire, non solo quando scrivevo testi teatrali. Anche quando la scrittura poteva essere un testo poetico, io pensavo sempre a un’esecuzione vocale».
Credo che tutti i poeti pensano alle proprie poesie come poesie, se non proprio «da eseguire», almeno da dire. Per quanto mi riguarda, c’è forse qualcosa in più. Quando compongo i miei versi, io in un primo momento non li scrivo. Me li dico. Li imparo a memoria e me li ripeto mentalmente più volte fino a sentire battere il loro ritmo come qualcosa di vitale e di necessario, che mi appartiene. Soltanto allora prendo la penna e ne scrivo alcuni. Infine, mi siedo davanti al computer e li scrivo e riscrivo tutti mille volte fino a che anche le parole che vedo non suonano come quelle che mi ero dette.
Essere dette, avere una voce, appartiene quindi all’essenza stessa delle mie poesie.
Ma c’è qualcosa che riguarda tutte le poesie: quando il medium della voce si integra con la musica e la dizione diventa esecuzione (quella di cui parla Sanguineti), l’emozione sgorga ancora più forte e la capacità di penetrazione del verso si fa più incisiva.
Per questo, su impulso e con la collaborazione di Annalisa Spadolini (a destra nella foto), musicista e amante della poesia, dalla scorsa estate abbiamo cominciato a pensare alla preparazione di una performance di letture poetiche e musica. Si è unita a noi in questa avventura la chitarrista Simonetta Camilletti (a sinistra nella foto).
E a fine settembre la performance è stata realizzata.
È Nel suo altro confondersi. Le poesie che ho scritte sono diventate, a tutti gli effetti, poesie dette, eseguite. Il flauto di Annalisa e la chitarra di Simonetta non costituiscono infatti nella performance lo sfondo della lettura dei miei testi. Sono, anche per la bravura delle interpreti, altre voci che si confrontano e si uniscono al tempo stesso con la mia voce e la mia “presenza”.
Il titolo, Nel suo altro confondersi, lo abbiamo tratto dall’ultimo verso della poesia Azzurro sprofondare (qui anche nella bella traduzione francese di Danièle Robert) per sottolineare il tema del rapporto conoscitivo o affettivo con ciò che è “altro”. Questo tema, pur con qualche divagazione, lo abbiamo sviluppato in due parti. La prima, I giorni dell’isola e altri giorni, contiene una decina di poesie legate a questo tema e tratte da La mente irretita; la seconda, Berlino e le altre, porta questo stesso filo conduttore a legare altre poesie tratte sia da I segnalibri di Berlino sia da La mente irretita. In tutto una ventina di testi e tra questi anche alcuni inediti.
La prima a Velletri, il 26 settembre. Ci ha ospitati la sala dell’Antico casale di Colle Ionci, messa cortesemente a disposizione da Valeriano Bottini.
Una replica a Roma, nello straordinario Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana, l’11 novembre. Ospite, in questo caso, la direttrice, Maria Concetta Petrollo Pagliarani, coadiuvata dalla bravissima Valentina D’Urso che ha anche introdotto la performance.