Se l’inchiostro è finito

Il mio nuovo libro è un romanzo

Se l’inchiostro è finito è un romanzo scritto in prima persona, ma non è un’autobiografia. Chi si dedica a questo genere letterario ha passato almeno un po’ del suo tempo a scrivere diari, a conservare lettere, a classificare vecchi documenti. Io, che non ho mai scritto diari e non sono capace di conservare neanche le bollette pagate, mi sono basato sulla mia memoria. Un’ottima memoria – non lo nego – che però qui si riferisce a un periodo, quello dai quattro agli undici anni, dal quale, per chiunque, emergono ricordi necessariamente sfocati.
Mi è sembrato naturale usare la prima persona: i fatti che racconto di me stesso mi sono effettivamente capitati e a essi hanno realmente partecipato, nel modo in cui racconto, mia sorella, mia madre, mio padre, i nonni, le cugine, gli zii e tutti i parenti dei quali parlo. Tuttavia, devo confermare che Se l’inchiostro è finito è un romanzo: l’ho concepito e l’ho scritto come un romanzo e non come una autobiografia. Tra l’altro, non so chi possa pensare che la mia biografia sia degna di essere raccontata. Nell’intreccio tra realtà e finzione, quest’ultima riguarda i personaggi che non fanno parte della mia famiglia. Di questi, ho cambiato qualche nome e qualche cognome. L’ho fatto a volte per il motivo più banale: da tempo non ricordo più quelli veri o, addirittura, non li ho mai saputi. Altre volte l’ho fatto perché, pur ispirandomi a una persona reale, volevo accentuare un particolare aspetto del suo carattere e renderlo più funzionale alla narrazione o più esemplare in relazione alla storia di quegli anni: quindi non sarebbe stato corretto identificare quella persona con i suoi veri dati anagrafici. Altre volte, infine, ho cambiato nomi e cognomi per appianare lo svolgimento del racconto: ho mischiato infatti in un unico personaggio le storie e, insieme a esse, le qualità o i difetti di due o più persone reali che, se tratteggiate una per una, avrebbero richiesto pagine e pagine di descrizioni.
Ciò che importa, tuttavia, è che in questo romanzo è fedelmente rappresentata, soprattutto in alcuni aspetti oggi del tutto dimenticati, la vita vissuta dalla gente in Italia negli anni Cinquanta del secolo scorso, quelli durante i quali il nostro Paese si riprese dalle ferite della Guerra. Nella Avvertenza per il lettore spiego così i caratteri di quel periodo:


[…] in quegli anni, i nuovi modi di vita determinati da un urbanesimo incontrollato spinsero quasi tutti gli italiani ad abbandonare da un giorno all’altro abitudini secolari, in qualche caso millenarie. Quelle abitudini, buone o cattive che fossero, derivavano da una cultura materiale talmente antica che aveva lasciato impressi i suoi segni, come marchi più che come tatuaggi, nella carne viva di un numero incalcolabile di generazioni e generazioni di uomini e di donne. Nell’Italia di quegli anni vi fu una corsa frenetica a cancellare quei segni.
Per una serie di singolari coincidenze ho vissuto una parte della mia vita di bambino nel mondo nuovo, dove tutti partecipavano a quella corsa frenetica, e un’altra parte dentro il mondo vecchio, dove quei segni ognuno se li portava addosso ben visibili e senza scandalo.

Questo libro parla di quei due mondi che coesistevano mentre si negavano a vicenda e che, in quel coesistere e in quel negarsi, hanno rappresentato un momento decisivo della storia d’Italia nel ventesimo secolo.


Insomma, Se l’inchiostro è finito è un libro che mi riguarda, ma riguarda soprattutto un periodo delicato – e decisivo – della storia d’Italia. Per questo secondo motivo vorrei che lo leggeste.
Devo aggiungere, oggi 4 gennaio 2024, che proprio per questo secondo motivo sono felice che Se l’inchiostro è finito sia stato scelto come “Libro da leggere” per questo mese di gennaio dal giornale online EzRome: qui un commento al libro e un’intervista a me a cura di Donata Zocche, che ringrazio di cuore.